Molto spesso mi viene chiesto perché le famiglie sentano il bisogno di creare attività sociali per i propri figli e perché non ci si limiti ad avviare altrettanti servizi in modo da rispondere a norma di legge a questi bisogni.
Per me, invece, è curiosa la domanda: se non fossi percepito come aggressivo, ribatterei che non comprendo piuttosto come ci si possa stupire che la gente ricorra all’auto-organizzazione in un momento di palese fallimento dei servizi pubblico-privati. Forse qualcuno salterà sulla sedia ma potrei dimostrare e con il conforto di un buon numero di dati che coprono gli ultimi 15 anni, che la situazione in cui versa il nostro Paese è la medesima di quella che abbiamo potuto conoscere della Grecia degli anni 2010-2012. Il governo di quel Paese, all’epoca alle prese con la richiesta di rimborso immediato dei debiti pubblici da parte di eurocreditori, reagì tagliando verticalmente tutta la spesa pubblica e arrivando a chiudere i rubinetti di ogni servizio/attività sociale dipendente direttamente dallo Stato.
Noi, invece, – e la cosa, almeno a mio sindacabile giudizio, è preferibile – abbiamo operato un taglio diagonale, riducendo anno per anno la spesa e attendendo tempi migliori: i greci hanno impegnato aeroporti, acquistato forzosamente beni improbabili di enti o stati creditori, ceduto immobili e intere isole con diritti ultradecennali di sfruttamento economico, noi abbiamo tirato avanti senza impegnare i gioielli di famiglia ma, governo dopo governo, riducendo gli interventi pubblici all’osso e, per chi ha potuto vedere, creando lo spauracchio della Corte dei Conti per ogni spesa di ogni ente pubblico. Abbiamo segato le province e le poltrone pubbliche, i finanziamenti al sociale, deviato tutto quello che si poteva dall’Europa alle spese di gestione corrente di Regioni ed enti locali, inasprito le sanzioni del codice della strada per far aumentare gli introiti locali, aumentato le tassazioni di Tari, Imu etc ma non è bastato e così abbiamo dovuto ridurre la qualità e la quantità dei servizi.
Così, per fasi successive, ci siamo abituati ai servizi digitali (al posto degli operatori fisici) presentati come innovativi ma di fatto condotti senza pilota con le conseguenze che ben conosciamo, al collasso dei servizi dove non si ammette il fallimento ma si ritarda tutto a tempi talmente dilatati da perdere la nozione del servizio stesso, alla riduzione degli utenti con sistemi di esclusione talmente raffinati che sembra normale non avere accesso, anzi viene largamente lasciato intendere che saremmo ancora noi, gli esclusi, gli ignoranti del villaggio digitale.
L’emergenza Covid ha dato un’iniezione economica agli enti moribondi e il PNRR ha cercato – e cerca tuttora – di stabilizzare una situazione che di fatto è talmente deficitaria da non poterne nemmeno più parlare seriamente se non parare qualche colpo alla come viene meglio. Le scelte, quindi, si susseguono in caduta libera ma non ci sono spazi né capacità per immaginare idee per un futuro diverso. Da qui il senso di sopravvivenza e di fatica post-traumatica che non ci molla nonostante il fatto che abbiamo risorse umane e tecniche per fare fronte a tutto questo mentre sembrerebbe mancare unicamente il denaro che invece c’è ma viene impiegato in quei posti dove il ritorno è garantito dagli investimenti di borsa. E non è ovviamente solo questo: il problema è che, arrivati al punto in cui i governati ne sanno più dei governanti e lo sforzo politico è quello di non toccare gli interessi già costituiti, lo spazio di manovra risulta talmente ridotto che possiamo tranquillamente stare a guardare e aspettare che le cose si mettano naturalmente nella giusta posizione e dedicarci ai nostri interessi sociali con la giusta dose di passione e fiducia dal momento che le nostre attività dipendono solo da noi e non più dagli altri.
I servizi per l’infanzia, per venire a quanto ci riguarda qui, prodotti e promossi a norma, costano parecchio in termini di adeguamenti strutturali e di personale e coprono nelle regioni in cui si è lavorato di più non oltre la metà della domanda stimata, mentre l’offerta scolastica, concepita da sempre come di solo appannaggio di istituzioni totalizzanti, cioè di quelle che non possono ammettere debolezze né consentire alternative, sta creando da anni ormai fenomeni di palese abbandono scolastico e di sofferenza dei minori senza che ce ne stupisca più di tanto e con tutta una serie di studi e analisi statistiche che descrivono questi fenomeni quasi si trattasse di una perturbazione tropicale di occasionale passaggio sulla penisola.
Trovo quindi meraviglioso che ci siano famiglie che decidono di dedicarsi alla cura dei propri figli in presa diretta e senza ricorrere ad altri servizi e che, in mancanza delle risorse necessarie, si mettano a promuovere semplici attività sociali non organizzate in servizi. Allo stesso tempo, giudico cieco – e talvolta criminale per la violenza praticata – l’atteggiamento degli enti di controllo che ignari del quadro collettivo si attaccano a scuse di ogni tipo per limitare o addirittura impedire queste attività nell’ottica di lasciare in piedi uno strano conformismo che ormai non ha praticamente più senso.
Esiste ovviamente anche il mercato ma l’offerta di servizi riparativi dei guasti soprattutto dell’offerta scolastica non è giudicabile come evolutiva: riscontro soltanto, sicuramente con eccezioni e al netto di quelli che non conosco direttamente, servizi molto costosi miranti unicamente al raggiungimento del pezzo di carta, costi quel che costi..e mediamente costa circa 5mila euro per anno per allievo.
Il fallimento pubblico non produce mai l’ammissione di incapacità ma la semplice presa di posizione per cui tutti vengono messi nella posizione di non poter pretendere: hai bisogno di una visita pagabile con un ticket ridotto? Bene, si tratta di aspettare qualche mese. Non puoi aspettare? Non è un nostro problema, rivolgiti al privato convenzionato o comunque disponibile ai prezzi che troverai.
Il cittadino protesta, si lamenta, scrive, tempesta di pec gli uffici pubblici i quali hanno imparato a non rispondere e a ritenere che la cosa non li riguardi nemmeno più. I giornali registrano fedelmente tutti i casi di aggressione fisica e verbale da parte di familiari inferociti e di utenti esasperati ma la rappresentazione è sempre sul tema “guardate che far west siamo diventati!”, naturalmente l’idea che il sistema massmediatico trasmette è che siamo noi, gli utenti, a sbagliare nel pretendere i servizi anche quando ci è impossibile farne a meno e non abbiamo accesso.
Non credo di dire niente che non sia sotto gli occhi di tutti e non scrivo per alimentare la rabbia di cui non ce ne facciamo nulla: voglio solo dire che come sviluppatore sociale sono contento di constatare che la gente si organizza senza aspettare Stato e Mercato, gli unici due poteri di cui si abbia nozione, e penso anche che il futuro sarà necessariamente nelle mani di tante persone che avranno voglia di realizzare le proprie vite organizzando tutto ciò che serve senza impostare le relazioni in senso commerciale e, quindi, ben al di fuori di qualsiasi interessamento pubblico e legalmente costituito ma istituito sulla base di un forte e sano senso del diritto di esistere.
C’è molta vita in tutto questo e oggi i numeri ci dicono che stanno crescendo tantissimo, proprio spinte dal bisogno, le iniziative di coloro che si stanno impegnando per rendere migliore la società locale aggiungendo, senza inutili sacrifici ed eroici sforzi, la propria quota di competenza.
A queste persone vorrei dire grazie e mostrare loro che il futuro è anche e forse soprattutto loro dato che non ci sono idee capaci di rovesciare i destini della nostra gente, non almeno fino al momento in cui smetteremo di essere una società di egoisti dove non si cambia praticamente nulla per non disturbare gli interessi di ognuno preso separatamente. Chi si applica semplicemente per rendere possibile qualcosa di interesse comune, magari apparendo pure controcorrente, non curandosi solo del proprio, scoprirà necessariamente quel continente inesplorato dove è possibile fare tutto, curarsi, produrre cibo, costruire case, allevare e istruire i propri figli, viaggiare responsabilmente, fare insomma tutto ciò che ha importanza e anche meglio di come farebbero i sistemi convenzionali. No, non si tratta di resistere ma di imparare una buona volta a vivere davvero.






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